Chi vive a Roma lo sa: nella Capitale non si parla soltanto con la voce. A Roma si parla con le mani, con le sopracciglia, con la testa e perfino con l’intonazione di una sola sillaba.
Il linguaggio dei romani è un piccolo spettacolo quotidiano, una forma d’arte che unisce ironia, teatralità e spontaneità. Capire davvero Roma significa imparare a interpretare non solo le parole, ma anche i gesti, le espressioni e il ritmo del parlato.
Ecco quindi cinque tra le espressioni e i gesti più tipici che incontrerai passeggiando per la città, utili per entrare un po’ di più nello spirito romano e, perché no, per divertirti a usarli anche tu.
1. “Aò!” – Il suono che apre ogni conversazione
Difficile trovare un’espressione più romana di questa. “Aò” è un suono breve, semplice, ma potentissimo: racchiude un mondo di significati che cambiano a seconda del tono e della situazione. Può servire a richiamare l’attenzione (“Aò, ma che fai?”), a esprimere sorpresa (“Aò, non ci posso crede!”), fastidio (“Aò, ma te muovi?”), oppure affetto (“Aò, quanto tempo che nun te vedevo!”).
In un’unica sillaba, il romano riesce a comunicare tutto un atteggiamento, un’emozione, persino un giudizio. È una di quelle parole che non si traducono davvero, ma che si sentono e si capiscono dal contesto. Se inizi a usarla anche tu, stai attento: è contagiosa.
2. “Annamo bene...” – L’ironia di fronte all’assurdo
Se c’è una cosa che i romani sanno fare, è sdrammatizzare. Quando qualcosa va storto, quando la situazione diventa surreale o sembra non avere soluzione, arriva puntuale l’espressione “Annamo bene...”. Naturalmente, non è mai pronunciata con entusiasmo: il tono è basso, ironico, spesso accompagnato da una smorfia o da un mezzo sorriso.
“Annamo bene...” può significare “Siamo messi male”, ma con una punta di umorismo che trasforma la lamentela in una battuta. È un modo per dire che, sì, le cose non vanno proprio come dovrebbero, ma lamentarsi troppo non serve: tanto vale riderci su.
Questo atteggiamento racchiude qualcosa di profondamente romano: la capacità di accettare l’imperfezione del mondo con un misto di sarcasmo e tenerezza.
3. Il gesto con le dita unite – “Ma che stai a dì?”
È probabilmente il gesto italiano più famoso al mondo, ma a Roma assume un’intensità e una varietà di sfumature tutte sue. Si fa unendo le dita della mano a punta e muovendola ritmicamente verso l’alto e il basso, con l’espressione di chi non crede a ciò che sente.
Può accompagnare frasi come “Ma che stai a dì?”, “Ma che voi?”, o “Ma sei serio?”.
È un gesto di incredulità, disappunto o disaccordo, ma non sempre negativo: a volte è anche un modo ironico per dire “Ma senti questo...”.
La cosa affascinante è che a Roma questo gesto fa parte della grammatica non verbale quotidiana. Non è mai aggressivo, ma sempre espressivo, teatrale e divertito. Anche chi non conosce l’italiano lo capisce subito: basta guardare la faccia di chi lo fa.
4. “Daje!” – L’incoraggiamento più romano che ci sia
“Daje” è una parola semplice ma piena di energia. È una delle espressioni più positive e contagiose del dialetto romano, un invito a fare, agire, non arrendersi. Può significare “Forza!”, “Andiamo!”, “Dai!”, ma anche “Ce la possiamo fare!”.
Si usa per motivare (“Daje, che ce la fai!”), per festeggiare (“Daje, stasera se brinda!”) o per approvare qualcosa (“Daje, così me piaci!”). È un’espressione che trasmette entusiasmo e ottimismo, anche nei momenti più difficili.
“Daje” è diventato un vero e proprio simbolo di romanità contemporanea: lo si trova sui muri, sulle magliette, negli slogan sportivi e nelle frasi di incoraggiamento sui social. È una parola che unisce, che crea complicità e che, detta al momento giusto, può cambiare l’umore di una giornata.
5. “Mannaggia!” – La dolce frustrazione romana
“Mannaggia” è una di quelle parole che i romani pronunciano più con il cuore che con la bocca. È un’esclamazione di frustrazione o disappunto, ma spesso è anche affettuosa, quasi tenera.
Si usa quando qualcosa va storto, ma non abbastanza da arrabbiarsi davvero: una macchia di caffè, un autobus perso per pochi secondi, una dimenticanza banale. Può voler dire “Accidenti!”, “Peccato!”, o anche “Che seccatura!”.
Deriva dal latino malenactio (maledizione), ma nel linguaggio romano si è addolcita, trasformandosi in un modo bonario di sfogare una piccola delusione.
Dietro questa parola c’è tutto il modo di essere dei romani: passionali ma ironici, impulsivi ma indulgenti, capaci di prendere la vita con un misto di energia e leggerezza.
Conclusione
Le espressioni e i gesti romani sono molto più che semplici abitudini linguistiche: sono frammenti di una cultura viva, di un modo di stare al mondo che unisce teatro, ironia e umanità.
Impararli non significa solo capire meglio la lingua, ma anche entrare nel cuore di Roma, dove ogni parola, gesto e sguardo racconta una storia.
La prossima volta che cammini per la città, osserva i romani parlare tra loro: ogni movimento delle mani, ogni “aò” o “daje” è parte di una coreografia quotidiana, spontanea e irresistibile. E quando ti verrà naturale usarli anche tu, potrai dire di esserti un po’ romanizzato.
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Nota finale
Il reportage fotografico che accompagna questo articolo è stato realizzato grazie alla partecipazione dei nostri studenti. In particolare, Eden, bravissima fotografa, ha curato gli scatti; mentre John, Lily, Madly, Juan, Juliana, Elahe e Mao hanno partecipato come modelli, interpretando con entusiasmo e simpatia i gesti e le espressioni più autentiche della romanità. Un grazie di cuore a tutti loro per aver dato volto e movimento a questo racconto di Roma viva e quotidiana!
Scuola Leonardo da Vinci
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