Chi sono i due personaggi raffigurati sulle pareti di fronte ai bagni della nostra nuova sede di Torino? Gianduja e la moglie Giacometta, i protagonisti indiscussi del carnevale e di tutti gli eventi folcloristici torinesi. Gianduja è la maschera tipica di Torino, proprio come Arlecchino lo è per Bergamo e Pulcinella per Napoli. Il suo nome deriva probabilmente dall’espressione dialettale “Gioann dla doja”, che significa “Giovanni del boccale”, perché Gianduja è un grande amante del vino Grignolino.
Chi è Gianduja?
A differenza di molte altre maschere italiane, Gianduja non appartiene alla Commedia dell’Arte, una forma di teatro popolare nata in Italia nel XVI secolo. Fu creato, invece, all’inizio del XIX secolo dai burattinai torinesi Giovanni Battista Sales e Gioachino Bellone. Gianduja è un “buon padre di famiglia” e si differenzia dalle altre maschere per essere un servo fedele, che collabora con gli aristocratici senza cercare di approfittarne. Rappresenterebbe, insomma, i valori del popolo pacato e conservatore, privo di idee rivoluzionarie.
Il suo stesso abbigliamento settecentesco ne confermerebbe l’adesione ai valori dell’Antico Regime: Gianduja indossa, infatti, un giubbetto marrone con i bordi rossi, un panciotto giallo, calzoni verdi lunghi fino al ginocchio, calze rosse e scarpe con la fibbia d’ottone. Ha sempre anche una parrucca e un tricorno, un copricapo molto popolare nel XVIII secolo.

Tuttavia, dietro il suo aspetto insospettabile, si nasconde una vena di satira politica...
Inizialmente, il burattino si chiamava Giròni (in italiano Gerolamo), ma i suoi spettacoli in dialetto piemontese, ebbero problemi con la censura prima del governo ligure, poi con quello della città di Torino, entrambi filonapoleonici. E così Giovanni Battista Sales e Gioachino Bellone si rifugiarono a Castell’Alfero, in provincia di Asti, dove ricevettero aiuto dalla famiglia De Rolandis, da cui proveniva il patriota Giovanni Battista De Rolandis che, insieme al bolognese Luigi Zamboni, sembra aver suggerito l’inserimento del verde al posto dell’azzurro nel tricolore italiano. E proprio in quel periodo i marionettisti cambiarono il nome del loro burattino in Gianduja e aggiunsero al suo cappello la coccarda tricolore, simbolo della nuova Italia che stava nascendo. Il casale in cui nacque Gianduja esiste ancora oggi ed è visitabile; si chiama ‘l Ciabòt ëd Giandoja e si trova a Callianetto, vicino ad Asti.
Anche dopo la morte dei suoi inventori, Gianduja continuò a essere protagonista di spettacoli grazie ad altre compagnie di marionettisti, in particolare quella dei Lupi di Ferrara. Il talento artistico di questi ultimi e il fatto che il personaggio si fosse fatto portavoce degli ideali del Risorgimento e dell’Unità d’Italia affascinò molti intellettuali dell’epoca e le rese sempre più popolare.
Nel tempo Gianduja si affermò come simbolo del patriottismo piemontese, ma anche stereotipo dei Piemontesi, caratterizzati da buon senso, bontà e concretezza. Divenne così il protagonista del carnevale torinese, durante i cui festeggiamenti venivano lanciate sulla folla le caramelle di Gianduja. Queste caramelle, che ancora oggi si trovano in qualche confetteria del centro storico di Torino, si presentavano come grandi cialde tondeggianti e si chiamavano così perché incartate in involucri esagonali decorati appunto con l’immagine di Gianduja.

I famosi cioccolatini torinesi
Durante il carnevale del 1865, un attore vestito da Gianduja presentò per la prima volta i “gianduiotti”, i famosi cioccolatini torinesi. I gianduiotti, cioè delle praline “allungate” a base di cioccolato e pasta di nocciole, esistevano già all’epoca del blocco napoleonico, quando i pasticceri di Torino dovettero ridurre l’uso del cacao, mescolandolo con pasta di nocciole per risparmiare. Fu poi il maestro chocolatier Michele Prochet, in società con l’azienda dolciaria Caffarel, a perfezionarne la ricetta e ad avvolgerle in un prezioso incarto dorato.
Oggi i gianduiotti sono il prodotto più tipico dell’artigianato torinese, ma solo la Caffarel è autorizzata ad usare l’immagine di Gianduja sull’incarto dei propri cioccolatini.
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