Perché si dice "essere felice come una Pasqua"?

La Pasqua, nei paesi di tradizione cattolica, è ritenuta la festività più importante dell’anno e, coincidendo con il momento del passaggio dall’inverno alla primavera e dell’arrivo delle prime belle giornate, rappresenta un periodo di felicità e spensieratezza.

Fino alla fine del XIX, quando le pratiche religiose erano più rigorose e severe, il periodo della Quaresima (i 40 giorni che precedono la Pasqua), era vissuto in modo particolarmente austero, con molti sacrifici e divieti. Per esempio, non si potevano mangiare carne, pesce e dolci né bere alcolici e vigeva un divieto assoluto di avere rapporti sessuali con il proprio coniuge. Era proibito anche cantare, suonare, leggere poesie, dipingere, ascoltare musica, motivo per cui la Quaresima era il periodo in cui la gente di spettacolo si ritrovava drammaticamente senza lavoro e da cui è nata la superstizione che il colore viola (dai paramenti sacri che venivano sfoggiati in questo periodo dell’anno), porti sfortuna agli artisti e che non lo si debba mai indossare entrando in un teatro.

In sostanza durante tutta la Quaresima non si poteva mai fare nulla di gioioso. Ne sono conferma le espressioni idiomatiche dedicate a questo tema: si dice, infatti, lungo come la Quaresisma per indicare qualcosa di molto noioso e senza fine; fare Quaresima per dire che si è mangiato poco e che si è ancora affamati e anche avere una faccia da Quaresima per indicare una persona dall’aria triste o smunta.

Proprio perché i festeggiamenti arrivavano come liberazione da vincoli e restrizioni durissime, le persone si sentivano davvero felici di potersi riappropriare di tutto ciò a cui avevano dovuto rinunciare. Ed effettivamente anche la gastronomia delle feste pasquali, vera e propria reazione alle precedenti ristrettezze, è un tripudio di cibi e dolci ipercalorici nonché di grandi mangiate. E cosa ci rende più felici del buon cibo italiano, condiviso a tavola con parenti e amici?

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