A Carnevale, ogni scherzo vale…

Forse non tutti forse sanno che questo detto ha anche una versione più lunga, che recita «A Carnevale, ogni scherzo vale…ma che sia uno scherzo che sa di sale», cioè uno scherzo che sia bello, intelligente.

Questa espressione si riferisce al fatto che il Carnevale, ispirandosi alle feste dionisiache dell’antica Grecia e ai Saturnali dell’antica Roma, è un momento in cui l’ordine sociale viene ribaltato e tutti gli scherzi sono permessi.

I più antichi festeggiamenti del Carnevale come lo conosciamo oggi risalgono al 1096, quando nella Repubblica di Venezia si iniziarono ad indossare maschere e costumi per garantire l’anonimato a chi partecipava ai festeggiamenti e si comportava in modo non consono al suo ruolo sociale. In questo modo, tutti potevano scaricare le proprie tensioni e si evitava il nascere di rivolte e sommosse. Maschere e i costumi sono giunti fino a noi, ma hanno sicuramente perso l’idea iniziale di anonimato e livellamento sociale. 

Molte delle maschere che ancora oggi si usano in Italia sono collegate alla cosiddetta Commedia dell’Arte, cioè al modo in cui si faceva teatro in Italia a partire dal XVI secolo. La Commedia dell’Arte si basava sull’improvvisazione di attori professionisti che, partendo da trame molto generiche, portavano in scena le “maschere”, cioè personaggi con caratteristiche fisse e stereotipate. Gli attori spesso indossavano una maschera per essere maggiormente riconoscibili.

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Ancora oggi questi personaggi sono molto famosi e si vedono durante le sfilate carnevalesche in tutta Italia:

  • Pulcinella: rappresenta un servo pigro e opportunista. Viene da Napoli e indossa un costume bianco e una maschera nera con il naso adunco. Il nome sembra derivare dalla corruzione di un cognome molto diffuso in Campania: Pulcinello o Polsinelli;
  • Pantalone: avaro e brontolone, è vecchio mercante squattrinato originario di Venezia. Il personaggio si lamenta sempre per la mancanza di denaro e ha un carattere spigoloso, soprattutto pensa di essere autoritario pur venendo sempre preso in giro dalla moglie, dalla figlia e dai suoi servitori.
  • Colombina: è la servetta vivace e maliziosa di Pantalone;
  • Arlecchino: viene da Bergamo ed è un servo imbroglione e sempre affamato. Lo si riconosce per il suo costume a losanghe multicolore;
  • Brighella: anche lui bergamasco, rappresenta un servitore fedele e attento ai bisogni del padrone;
  • Balanzone: viene da Bologna e indossa una toga nera; rappresenta un dottore anziano, saccente e pedante;
  • Gianduja: è la personificazione del carattere del popolo piemontese, cioè fermo sulle sue posizioni ma fedele alla parola data e sempre di ottimo umore;
  • Stenterello: si caratterizza per la magrezza e il fatto di essere perseguitato dalle ingiustizie, che riesce a superare solo facendo affidamento alla sua arguzia. Viene da Firenze;
  • Capitan Spaventa: è un soldato di ventura originario della Liguria. È un personaggio colto e di buon senso, ma anche ambizioso e inguaribile sognatore;
  • Pierrot: benché debba il suo nome e il suo successo alla Francia, è una maschera italiana e il suo nome originario è Pedrolino. Se inizialmente rappresentava il personaggio di un servo astuto, si è trasformato progressivamente in un mimo malinconico e innamorato della luna;
  • Rugantino: è uno spaccone - anche se di animo buono. Il suo nome deriva dal romanesco Rugà, che indica un comportamento arrogante e strafottente;
  • Meneghino: il suo nome, che deriva dalla storpiatura dialettale di Domenico, è diventato l'aggettivo che descrive gli abitati di Milano. Rappresenta la figura del servitore intelligente, che spesso ha più buon senso dei suoi padroni.

Questi personaggi sono così popolari nella cultura italiana che esistono addirittura dei modi di dire a loro dedicati. 

Il personaggio di Arlecchino è stato indubbiamente consacrato dalle commedie di Carlo Goldini, che spesso l’hanno come protagonista di innumerevoli intrighi e avvenimenti comici. Così si dice fare l'Arlecchino, per indicare chi si comporta da buffone. Dalla trama di una commedia del Goldoni deriva l’espressione fare l'Arlecchino servitore di due padroni per indicare una persona che cambia idea o atteggiamento secondo l'opportunità del momento o fa contemporaneamente gli interessi di due parti avverse. Si usa il termine arlecchinata per indicare una buffonata. Riferendosi al costume multicolore del personaggio, si dice che qualcuno sembra un Arlecchino quando indossa troppi colori o colori abbinati male. Una curiosità sulla livrea multicolore del personaggio: la leggenda vuole che Arlecchino fosse il figlio di una donna poverissima, la quale era costretta a mandarlo a scuola con abiti logori e rattoppati. Le altre mamme, intenerite dalla vista di un bambino così malconcio, decisero di fargli un abito nuovo, ma non potendo utilizzare altro che i ritagli di scarto delle stoffe che avevano in casa, ne venne fuori il costume a losanghe colorate che tutti conosciamo. 

Altro personaggio popolarissimo è Pulcinella, la cui caratteristica è il riuscire sempre a trarsi d’impiccio in ogni situazione facendosi beffe dei potenti. Con il suo carattere simpatico e giocherellone racchiude in sé tutto lo spirito della sua Napoli. Si dice fare il Pulcinella per indicare una persona che si comporta in modo opportunista o volubile; mente le nozze di Pulcinella indicano una festa che finisce con dissapori e liti o anche un’impresa che pur essendo partita con ottime premesse, finisce presto e malamente. Un’espressione molto usata è il segreto di Pulcinella per indicare un’informazione che, all'insaputa dell'interessato, è nota a tutti. Il modo di dire deriva dal comportamento di Pulcinella che spiffera a tutti le confidenze che gli vengono fatte con la raccomandazione di tenerle segrete.

Si dice, invece, uno stenterello per indicare una persona magra e patita ispirandosi all’omonimo personaggio fiorentino.

Quando qualcuno si ritrova raggirato e costretto a pagare conti salati a propria insaputa si dice che paga Pantalone. Il detto prende spunto dalle vicende del mercante veneziano che viene continuamente raggirato dalla famiglia e dai suoi servi. Un tempo l’espressione significava che pagava chi poteva permetterselo come il ricco mercante veneziano, ma con il tempo Pantalone è diventato l’emblema del cittadino, che si ritrova spesso costretto dal proprio Governo a pagare per spese inutili o utili solo per pochi.

Al piemontese Gianduia, il cui nome deriva dall’espressione piemontese Gioan d'la douja (Giovanni del boccale), non sono legati particolari modi di dire, ma da lui deriva il nome dei cioccolatini che sono il simbolo di Torino: i gianduiotti. L'esordio di questo cioccolatino avviene durante il Carnevale del 1865, quando la Caffarel decide di promuovere il nuovo prodotto facendolo distribuire per le strade proprio dal personaggio di Gianduja. Da quel momento i nuovi cioccolatini furono chiamati gianduiotti e ancora oggi la Caffarel è l’unica azienda torinese che può stampare la maschera di Gianduja sull’incarto dorato delle sue praline.

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